Personaggi illustri

La vita e l’opera di Sant’Umile da Bisignano, ventisette anni dedicati alla vita secolare, altrettanti alla vita religiosa, uno soltanto al noviziato, nella sua pur breve esistenza francescana[2], si pongono da subito nel rapporto di coesistenza tra una natura autentica, quella socialmente riconosciuta dell’umiltà, e la coscienza del santo orientata invece a riconoscersi peccatore di superbia.

Frate Umile, al secolo Lucantonio Pirozzo, è un fratello laico dell’Ordine dei Frati Minori Francescani di Calabria; nasce a Bisignano - paese dell’attuale provincia di Cosenza - il 26 agosto 1582.

Uomo profondamente radicato nel contesto storico e sociale della Calabria, ha accolto l’invito di Gesù Cristo: «vieni e seguimi».

Nel nome stesso di “Umile” è racchiuso il suo destino, la sua testimonianza cristiana, sincera e credibile, la sua intensa vita spirituale alla quale si è sempre mantenuto fedele. Da subito si fa ammirare per le doti di eccezionale pietà. Segue la Messa quotidiana, si accosta alla mensa eucaristica in occasione di tutte le feste, prega meditando la passione del Signore, ama con rapito fervore l’immagine di Maria.

Tra le virtù che il futuro santo vanta fin dagli anni dell’infanzia e della prima giovinezza, ancora prima del suo tempo religioso, certamente è da sottolineare la precocità della fede e dell’alta vocazione, la non comune dote insomma di essere già un «bimbo singolare».[3]

Alla sua guida spirituale, don Marcantonio Solima, più volte mostra segni di matura fede, penitenza e fedeltà a Cristo e a Maria. All’atto della chiamata, Lucantonio sembra incontrare con naturalezza la scelta che da qualche tempo persegue con umiltà e abnegazione. Il nome di San Francesco d’Assisi e l’osservanza della Regola diventano il punto di riferimento per il presente e l’avvenire. Se da parte della famiglia, e in particolar modo dalla madre, si pone inizialmente un veto al desiderio di Lucantonio, don Marcantonio, in senso diverso ma pur sempre ostacolando il devoto, lascia intendere che la via della santità non è un percorso su cui avventurarsi con leggerezza, anzi l’avverte che il cammino è duro e che soltanto al tempo si affidano le risposte sull’autenticità della passione. Ma Lucantonio inizia da subito la sua personale professione di santità. Oltre all’obbedienza, nel tempo la santità matura a privilegio del religioso, lascia intendere che la mortificazione di se stessi è senz’altro una virtù decisiva e che ripaga lungo la via verso il Signore. La flagellazione, la povertà, l’umiltà, la penitenza, il castigo, l’obbedienza, la preghiera e infine la carità quale simbolo più reale della «solidarietà»[4] verso il prossimo compongono insieme le caratteristiche peculiari di una personalità anomala, certamente ancora non completamente organica e matura, ma - secondo l’opinione della società più prossima al santo, specie quella bisignanese dell’epoca[5] - Lucantonio già vive nella grazia di Dio.

Il dialogo con il francescanesimo inizia a Bisignano, presso il Convento dei Frati Minori. Qui vive un popolo di umili frati che professano la fede nel santo di Assisi. L’avvento della chiamata, con Lucantonio poco più che diciassettenne, porta a compimento un clima di tormento interiore già fortemente presente nell’animo del giovane. Il marcato spiritualismo di Lucantonio, con la chiamata risolve in maniera definitiva la pur flebile attrazione per le cose mondane e i beni materiali.

Dopo aver perduto il padre, Lucantonio perde una persona decisiva nello sviluppo della sua vocazione, don Marcantonio Solima, la guida spirituale che da vivo gli ha indicato la «meta e il cammino»,[6] e che appena dopo la chiamata conferma al giovane la volontà di Dio e con essa anche l’attesa paziente. Don Marcantonio confessa che dovranno trascorrere quasi dieci anni prima dell’ingresso di frate Umile nell’ordine francescano.

Ma l’evento che forse più di ogni altro contribuisce a mettere alla prova la tenacia di Lucantonio è – dopo la morte del padre – la morte del patrigno. Da solo e giovane, e nel cuore il desiderio di seguire la regola di San Francesco d’Assisi, si ritrova l’unico in grado di procurare sostentamento alla famiglia. Ma neppure la disgrazia familiare lo distoglie dall’alto ideale religioso che da qualche anno ormai riempie pienamente la sua vita. La dura ostinazione con cui la famiglia si oppone alla scelta di Lucantonio – allorché l’esigenza di orientare la propria missione esistenziale verso la Regola francescana diviene sempre più impellente – è forse il motivo più doloroso della sua giovinezza.[7] L’abbandono della famiglia, infatti, è uno degli episodi che per paradosso risultano meno santi nella vita di frate Umile.

La vocazione francescana, tuttavia, richiede abnegazione, sacrificio e un investimento capace di coinvolgere l’intera esistenza. Ed è ciò che accade, specie nell’episodio del settembre 1609, quando il giovane santo si reca da Bisignano al convento di Dipingano (CS) per chiedere al Ministro Provinciale dei Frati Francescani Riformati, giunto in quella comunità per la visita canonica, l’ammissione all’anno di noviziato. Finalmente Lucantonio entra fra i Minori nel noviziato di Mesoraca (KR). Alla formazione dei giovani sono preposti due santi religiosi: P. Antonio da Rossano come maestro e P. Cosimo da Bisignano come superiore del Convento.

Frate Umile, come abbiamo in parte riferito, ha avuto doni singolari: l’estasi, la scrutazione dei cuori, della profezia, dei miracoli e soprattutto della scienza infusa. Benché non fosse molto alfabetizzato, ha dato risposte sopra la sacra scrittura e sopra qualunque punto della dottrina cattolica, da far meravigliare insigni teologi. Venne sperimentato al riguardo, con la proposta di dubbi ed obiezioni, da un’assemblea di sacerdoti secolari e regolari, presieduta dall’arcivescovo di Reggio Calabria, e da alcuni professori della città di Cosenza; in Napoli dall’inquisitore Mons. Campanile, alla presenza del P. Benedetto Mandini, teatino, e di altri. Ma frate Umile rispose sempre in maniera più che esauriente. È facile quindi comprendere da che stima è universalmente circondato.

Ma la capacità miracolistica, l’estrema umiltà e la beatitudine forse non bastano a frate Umile allorché, al termine dell’anno da novizio, ad ogni allievo è richiesto di superare l’esame sulla Regola ed il mancato superamento dello stesso può anche causare il coatto abbandono del convento e il mesto ritorno in famiglia. Il compito rappresenta, malgrado la buona volontà del frate, un ostacolo non indifferente. Si narra che dopo interminabili difficoltà – e fra l’altro qualche maligno dubbio aleggiante sulla stabilità delle sue facoltà intellettuali – Lucantonio, per intercessione della Vergine, riesce a superare l’esame e a recitare la Regola (4 settembre 1610) meravigliando anche i detrattori. Per questo, è rimasto, tutta la vita, devotissimo di Maria, perché la Vergine l’ha sempre soccorso nel bisogno e lo tiene caro tra i suoi Santi

Tra le attività legate al noviziato, oltre alla professione religiosa, frate Umile svolge con semplicità le tipiche, ricorrenti mansioni dei religiosi non ancora eletti al grado sacerdotale. Dalla questua al servizio presso la mensa della comunità, fino alla cura dell’orto ed ad ogni altro lavoro manuale richiesto dai superiori, frate Umile si impegna con modestia e dedizione. L’esperienza e il tempo di noviziato a Mesoraca servono anche a dimostrare, attraverso la penitenza e la dote innata dell’umiltà, che il giovane religioso già si presenta come modello esemplare di uomo pio.

Sant’Umile è interamente votato all’eccellenza del comportamento nonché all’interpretazione mimetica della Regola francescana, soprattutto nell’evangelica capacità di abbassarsi, di umiliarsi, dote che meglio di qualunque altra innalza a Dio.

Invitato da Cristo ad abbandonare ogni cosa secolare, e a rimettere al rischio anche la propria vita in nome del Regno di Dio, avverte forte il senso, il fascino, la verità del Vangelo delle Beatitudini ed accetta di mettersi al servizio del disegno di Dio, il disegno che il Fattore forgia su di lui intraprendendo una vita protesa - come vedremo al capitolo successivo - oltre che all’imitazione della Regola, anche all’imitazione di San Francesco d’Assisi.

D’altra parte, se poi un modello autentico informa la natura di frate Umile e resiste nel suo comportamento, questo è il modello più alto, il modello di Gesù Cristo. È Gesù, ma soprattutto l’immagine di Gesù crocifisso, che il Santo di Bisignano desidera imitare.[8]

Dopo il difficile anno di noviziato – ormai di nome frate Umile da Bisignano – il francescano inizia un cammino spirituale e un parallelo cammino biografico che lo porta in vari luoghi della Calabria: da Cosenza a Dipingano, da San Lorenzo del Vallo a San Marco Argentano, da Pietrafitta a Figline e a Rossano, e poi ancora nell’attuale provincia cosentina presso altri piccoli centri. Itinerari questi che oggi possono anche sembrare di risibile percorrenza, ma che un tempo non lo erano affatto. Umile da Bisignano - è vero - si muove nella provincia di Cosenza, ma la provincia tra Cinquecento e Seicento è percorsa a dorso di cavallo o di mulo, il più delle volte a piedi con un sacco in spalla[9]. Ma al termine dell’itinerario, tra piccoli, sperduti e poveri paesi, la celebrità di frate Umile cresce talmente tanto che pari gli è solamente la propria umiltà: l’umiltà rimasta quella di un tempo, quella dell’uomo ricco di carità, pazienza e devozione, dell’uomo rivolto soltanto ad aiutare coloro che hanno bisogno di aiuto materiale e conforto spirituale.

Dopo il noviziato, frate Umile è un esempio notevole, anzi eccellente, per i francescani di Dipignano e, soprattutto, per i novizi del suo paese natale.

Casto, povero e obbediente, così stabilisce la Regola e così frate Umile esegue.

Il poverello, infatti, a somiglianza di Maria, rende piena volontà al Padre, è libero e giusto, slegato da illusori legami con le cose che non restano e legato invece alle cose concrete, che per lui sono rappresentate soltanto dalla fede in Dio.

Un’anima veramente povera non si preoccupa, non si agita, soprattutto non si perde nella illusoria sfera mondana. L’anima del povero è un’anima santa, sa guardare in alto e cercare la figura protettrice di Dio, lasciandosi affascinare dal Vangelo del suo Figlio. E da povero e auto-flagellante, frate Umile ha anche ampiamente praticato la carità. Anche però resistenza alla carne, umiltà di uomo che neppure guarda e che sa soltanto dell’esistenza della donna ma la ignora, vuole ignorarla:

Egli aveva fatto patto coi suoi occhi di non fissare mai in viso persone di altro sesso e, quando le necessità dell’ufficio o l’obbedienza dei Superiori lo mettevano a contatto con donne, teneva gli occhi costantemente rivolti a terra.[10]

La sua povertà è tale che non può immaginarsi altra superiore. Indossa sempre abiti vecchi e in pessime condizioni:

Quel suo vestito sì povero ed objetto; qual suo volto sì modesto e composto; quel suo parlare con voce sommessa, quel suo tenere sempre gli occhi fissi in terra, mostrava il dispregio che aveva di se stesso, e in cui voleva essere tenuto dagli altri.[11]

I suoi contemporanei hanno ammirato con stupore:

(…) la povertà di fra’ Umile e il suo distacco da tutte le cose terrene. Si contentava di un abito vecchio e lacero e di pochi pezzi di pane duro per mangiare. In cella aveva solo una croce di legno. Questo è noto a tutti i frati del convento. Sceglieva per sé il pane più duro e i pezzi che restavano agli altri. (…) P. Giacomo Aiello, maestro dei novizi, riprese Umile perché aveva riposto su una posata alcuni pezzi di pane duro. Rispose fra’ Umile: è la mia posata! [12]

La forma di povertà scelta da frate Umile è quella di staccarsi interiormente, in virtù della povertà di spirito, dal mondo, dall’egoismo in tutte le sue manifestazioni.

La Sacra Scrittura nella sua linea di fondo ed in particolar modo nel Discorso della Montagna (Mt 5-7) richiede questo atteggiamento. Esso deve animare anche la povertà esteriore.

Il punto fondamentale della vita senza nulla di proprio come centro della povertà francescana si trova quindi chiarissimamente nell’intimo dell’uomo e riguarda l’incontro dell’uomo con Dio. Si tratta dell’esigenza del nostro “io” , come s’inalbera di fronte a Dio e agli uomini. D’altra parte bisogna che sia chiaro che un vivere povero che si limiti all’ambito interiore dell’uomo, senza trarne chiare conseguenze nel campo materiale, sarebbe una restrizione del concetto di povertà. Parimenti anche una povertà che fosse soltanto esteriore senza la povertà interiore sarebbe unilaterale.

Frate Umile assunse pienamente da Francesco d’Assisi il concetto di povertà, come vita senza nulla di proprio, compiendo personalmente il senso della povertà evangelica.

Pochi, infatti, come Francesco d’Assisi hanno penetrato nel mistero della povertà della creatura, la quale è un nulla se riferita a se stessa, ma diventa qualche cosa se riferita al tutto di Dio, che le dona l’essere e ogni altro bene. All’occhio che fissa la realtà, al di là delle parvenze, tutto è dono: e l’uomo è il primo beneficiario, anzi il primo dono, il primo regalo della munificenza di Dio, inteso come l’unica ricchezza: se tutto viene da lui, se tutto è dono, se tutto dipende dalla sua benevolenza, allora l’unico Bene è Dio. Sicché all’estrema povertà dell’uomo Dio appare quale unica vera e consistente ricchezza dell’uomo.

Entrare in simile prospettiva, come ha fatto frate Umile, è vitale, perché permette di vivere nella verità creaturale, in un’esistenza, quindi, che trova la consistenza nell’unico fondamento possibile.

La povertà e l’umiltà sono talmente evidenti in frate Umile al punto che egli si comporta come se Gesù gli avesse fatto intuire la propria miseria, rivolgendosi a lui con le stesse parole con cui si rivolse a Santa Faustina Kovalska: «Vedi quello che sei in te stessa, ma non spaventarti per questo; se ti svelassi tutta la miseria che sei, moriresti per lo spavento; sappi tuttavia quello che sei. Proprio perché sei una miseria così grande, ti ho svelato tutto il mare della Mia Misericordia. Cerco e desidero anime come la tua, ma ce ne sono poche… ».

Al centro della virtù di frate Umile si pongono anche l’estasi o la visione estatica, oppure il cosiddetto trascendimento estatico:

Quando l’anima è giunta a varcare la zona del sensibile e a toccare con l’estrema punta del desiderio l’ineffabile oggetto del suo amore, essa si trasuma, attirando anche il corpo in quella trasfigurazione gioiosa di tutto l’essere che si chiama estasi. L’estasi è appunto il vertice estremo di elevazione che si compie nella preghiera, l’estasi è, come precisa l’Angelico, la figlia dellamore.[13]

Frate Umile, con ricorrenza anche preoccupante per i fedeli che lo circondano, cade in estasi, per poco tempo oppure per lungo tempo, ma rimanendo sempre in uno stato di rapimento tale da alienargli la coscienza mondana donandogli invece coscienza divina. Ogni volta, esprime soltanto spirito di obbedienza al superiore intervenuto a richiamarlo. Solo il superiore ridesta nel poverello un risveglio dei sensi e un ritorno alla realtà. Spesso l’estasi impedisce un ritorno immediato allo stato di coscienza vigile. La contemplazione in frate Umile è un’esperienza spontanea, ogni occasione sorge quasi per intercessione di Dio. E il fenomeno della levitazione di frate Umile è episodio occorso infinite volte e in diverse condizioni, in solitudine e in pubblico, in movimento o immobile.

Durante l’esperienza estatica, frate Umile giace rapito al cielo, mentre intorno, dai fratelli frati e dal pubblico di fedeli, è ammirato e considerato già santo:

In estasi parlava con Dio in maniera sublime. Questo lo possono testimoniare i religiosi che sono andati con lui.

Andava di continuo in estasi come io l’ho visto tanto in chiesa come in altri luoghi e anche zappando o facendo altre cose o parlando di Dio.

L’estasi gli era familiarissima. Io l’ho visto di frequente.

Ordinariamente in estasi stava con le mani giunte, alle volte con le palme unite, più spesso in forma di croce, col capo ora chino e mesto, ora sollevato e giulivo, con gli occhi chiusi e ora aperti, col corpo ora in ginocchio e ora in piedi, ora appoggiato all’altare, a una muraglia, a un banco o altri luoghi e spesse volte sollevato da terra.

Mentre serviva la messa, prima della consacrazione andò in estasi, sollevato da terra, e stette oltre la celebrazione. Vi fu un’altra messa e fra’ Umile era ancora in estasi. Alla fine il Padre guardiano gli comandò di ritornare in sé, ed egli ubbidì subito.[14]

Si narra anche che egli, divenuto consapevole delle sue qualità di santo estatico, nel sospetto che ciò sia il sottile e subdolo disegno del Diavolo, decide di invocare Duns Scoto,[15] il quale, apparsogli in cella, lo rassicura che queste esperienze sono volute da Dio.

L’altro importante capitolo che accompagna frate Umile nel centro–sud della Calabria riguarda una tappa nella nota Mesoraca, una seconda occasione rispetto al tempo del noviziato. E frate Umile ritorna, almeno per un biennio nel paese del noviziato; sosta, questa, voluta dai Superiori come compimento definitivo delle dure prove per accertare la natura e l’identità della sua virtù cristiana.

Dopo due anni, frate Umile risorge a nuova vita. Il potere ecclesiastico sembra ormai pacificato con l’idea che veramente il frate è uomo santo. E inizia in Calabria una folle corsa, tra potenti e meno potenti, istituzioni religiose e conventi, per avere presso di sé il frate. Sant’Umile si adegua a ciò che richiede il prossimo.

Un altro viaggio del frate è compiuto verso Messina. Il P. Benigno da Genova, Ministro generale dell’Ordine, lo conduce in sua compagnia per la visita canonica ai Frati Minori della Calabria cosiddetta Ulteriore per transitare successivamente in terra di Sicilia.

Durante il viaggio attraverso lo stretto, frate Umile compie un miracolo. Trasforma l’acqua di mare in acqua per dissetare le persone dell’equipaggio. A Messina l’ennesimo gesto miracoloso di frate Umile si diffonde tra la gente e la fama cresce in misura della sua santità. Così anche nelle esperienze umane e religiose a Reggio Calabria e a Napoli,[16] ove il frate è talvolta interrogato dall’intellighenzia allo scopo di verificare la sua attitudine alle risposte teologiche, la sua posizione davanti ai problemi religiosi, il suo pensiero dinanzi al problema della fede.

Tra i dialoghi più celebri, uno riguarda soprattutto la capacità di porre in luce e confermare che frate Umile – a differenza di certe indegne opinioni, secondo cui non possiede grandi doti intellettuali – è dotato della lucidità necessaria alla profonda e sottile discussione teologica. Un esempio tra i più importanti riguarda il confronto che il frate ha tenuto con il suo confessore, Padre Dionigi da Canosa.

L’argomento su cui peraltro il dialogo si regge riguarda il destino dell’anima e la funzione degli angeli proprio in relazione al viaggio dell’anima dopo la morte. Il dialogo aperto, d’altra parte, è soltanto un aspetto occasionale del comportamento di frate Umile. Per il resto, la solitudine, la preghiera e il continuo nascondimento dal mondo costituiscono l’atteggiamento più frequentato perché forse dal frate più desiderato. Anche quando Padre Dionigi, fra l’altro suo primo biografo, gli chiede cosa domanda al Signore durante le tante ore di silenzio e orazione, Sant’Umile risponde umilmente:

Io non faccio altro se non dire a Dio: “Signore, perdonami i miei peccati e fa’ che io ti ami come sono obbligato ad amarti; e perdona i peccati a tutto il genere umano, e fa’ che tutti ti amino come sono obbligati ad amarti!”.

Più cresce in fama presso il popolo e presso coloro che hanno fatto la sua conoscenza diretta o indiretta, più la tendenza all’incontro è in qualche maniera sostituita dal volontario esilio in cella. L’itinerario di frate Umile verso Dio è un continuo crescendo, anche se la sua vita intima è tale da non comprenderla neppure lui stesso e crede sia meglio uno stretto silenzio e godere nelle umiliazioni piuttosto che esaltarsi per la stima della gente. Ma Il trasporto è talmente grande che l’opera stessa del frate non sembra più umana, ma assume una forma e un contenuto compiutamente cristiano. Quando la bisignanese Elisabetta De Caro gli chiede di pregare il Signore affinché la liberi dall’infermità che la tormenta, frate Umile quasi acquisisce il piglio imperativo del Cristo evangelico. Replica a coloro che lamentano l’assenza di un suo intervento risolutore, e alla donna risponde che il suo supplizio è un desiderio espressamente richiesto per scampare all’inferno e al diavolo. La capacità di profetizzare, di leggere il passato nascosto nel cuore delle persone e il futuro ancora di là da venire, è virtù esemplare di frate Umile, fino al clamoroso episodio d’aver predetto la morte della madre per disgrazia e aver anche tentato invano di impedirlo senza tuttavia riuscire a distogliere la donna dal pericolo fatale.

Padre Alfonso Maria Liguori così si esprime nel riportare la notizia della morte della madre di fra’ Umile:

La vecchia sua mamma che aveva con replicate istanze supplicato i Superiori a volerle concedere di riabbracciarlo un’ultima volta prima di morire, appena seppe il figlio nel convento di Bisignano, vi si recò e chiese istantemente di poterlo vedere. Ma fra’ Umile, cui non era stato revocato il divieto di parlare coi secolari, non voleva assolutamente recarsi in portineria a salutarla. Sicché dovette intervenire il P. Guardiano colla sua autorità e permettergli di scendere a consolare la vecchia sua madre. Non appena la vide, illuminato interiormente, le predisse l’imminenza della sua morte e l’esortò ad apparecchiarvisi degnamente. In speciale maniera la mise sull’avviso a non salire l’indomani sui gelsi, com’era solita, a levarvi le foglie, poiché ne sarebbe caduta, rimanendo a terra, freddo cadavere all’istante. Quella prestando maggior fede alle parole del figlio che alla vigoria elle membra, passò tutta la notte in fervore di preghiere preparandosi così al gran trapasso. Nonostante l’avviso, salì il giorno seguente su di un piccolo gelso, ma non appena vi fu sopra, le falli il piede, stramazzò a terra esalando lo spirito in un sol colpo. A San Lorenzo, dove fra’ Umile si trovava, per divina rivelazione apprese nel momento medesimo l’avvenuto decesso e così, rivoltosi a un confratello esclamò: “in questo momento la povera mamma è caduta da un gelso ed è morta!”[17]

Oltre alla santità, qualcosa di divino si esprime in frate Umile, tanto che la fama ormai è notevolmente diffusa, anche negli ambienti più alti della gerarchia ecclesiastica:

La fama dei doni soprannaturali del Santo si diffuse rapidamente sino alla città capitale del mondo cattolico, giungendo così al soglio di Pietro, per cui il Pontefice del tempo, Gregorio XV, al secolo Alessandro Ludovisi (1621–1623), lo volle incontrare e ne fece richiesta al Nunzio Apostolico di Napoli.[18]

Anche da un punto di vista meramente simbolico, la chiamata del papa assume un significato che va al di là dell’incontro diplomatico. Frate Umile da Bisignano – con la sua capacità di previsione del male, la sua capacità miracolistica e profetica, il dono della guarigione e l’assoluta limpidezza nel comportamento intimo e in società e l’applicazione delle virtù – al papa evidentemente non passa inosservato. È forse il momento di fede maggiormente luminoso per frate Umile, in quanto l’amore per Cristo e Maria, già tratto peculiare e caratteristico della sua personalità religiosa, tocca vertici quasi inauditi. A tal riguardo, basti pensare alla lettera che Sant’Umile ha spedito alla sorella Livia da Napoli, proprio in occasione del viaggio verso Roma, finalizzato ad incontrare il papa. Al termine delle poche righe di saluto, la chiusa esprime un profondo senso di devozione verso la vita e verso l’uomo:

(…) non però ho mancato di raccomandarla [Maria] a Dio, da dove ricevemo ogni consolazione (…) che fine mi raccomando a tutti, et la Santissima Trinità in nome della Passione di Giesù Nazzareno Signore Crocifisso et la Beata Vergine, et tutta la Corte Celeste vi benedica, et vi possi liberare di tutte le cose che sono contra Dio, et la Chiesa Santa. Amen.[19]

Dopo Gregorio XV, frate Umile è chiamato, per una seconda occasione, a Roma da Urbano VIII.

Entrambi i pontefici, dopo averlo fatto rigorosamente esaminare nello spirito, dialogano volentieri e senza pregiudizi con lui, giovandosi anche delle sue preghiere. Frate Umile si trattiene a Roma diversi anni, soggiornando quasi sempre nel convento di San Francesco a Ripa, e, per pochi mesi, in quello di Sant’Isidoro. Trascorre un periodo di tempo anche a Napoli presso il convento di Santa Croce, dove profonde il suo impegno nel diffondere il culto di Duns Scoto.

Non è quindi soltanto Gregorio XV a trattenere a Roma frate Umile, ma anche il suo successore Urbano VIII, per cui il «poverello di Bisignano», come egli ama definirsi, di ritorno in Calabria è costretto a ripartire nuovamente verso la capitale per restarvi ancora qualche anno:

Quando forse il Santo si disponeva a riprendere il viaggio verso la Calabria, un ordine improvviso del nunzio apostolico lo rimandava a Roma. Urbano VIII, qualche mese dopo essere salito al trono, richiamava nella città eterna il prodigioso frate calabrese.[20]

La decisione del Papa di richiamare a Roma il francescano calabrese induce a credere che il dialogo e i consigli di frate Umile costituiscono molto più che semplici occasioni di conversazione formale. Oltretutto, il Giubileo (sotto Urbano VIII) a suo modo rappresenta un’esperienza reale e in certa misura eccessiva, specie per l’abitudine all’umiltà da parte del santo bisignanese.

Infatti, oltre allo sfarzo e alla sontuosità,[21] d’altra parte in linea con l’epoca storica, un fatto inequivocabile resta l’immagine di coesione che la forza della Chiesa dà a frate Umile, soprattutto la grandiosa e quasi inverosimile idea di unificazione tra Cristo e il suo popolo.

Soltanto alla metà degli anni Venti del XVII secolo, frate Umile riparte da Roma per Napoli per poi rientrare a Bisignano nell’estate del 1627[22] .

Risalgono a quest’epoca la volontà e il desiderio di frate Umile di dedicarsi all’evangelizzazione degli infedeli, forse spinto dalla consapevolezza religiosa, dal visibile effetto della sua stessa vita terrena e soprattutto dall’esito talvolta strabiliante del suo confronto con il popolo.

Nonostante tutto, i superiori dell’Ordine gli negano il permesso. Sembra che il duplice problema che in anticipo sugli eventi osta alla missione per l’evangelizzazione degli infedeli sia strettamente legato a due doni che frate Umile non dispera di avere in grazia da Dio. Il primo riguarda la sua complessione fisica, ritenuta non idonea per compiere viaggi e lavorare senza posa in terre straniere, la seconda invece riguarda un aspetto eminentemente culturale e cioè l’ignoranza delle lingue. Da ciò deriva sempre un’assoluta fedeltà in Dio da parte del santo uomo, poiché egli è persuaso che Dio gli darà, sia la forza per affrontare la missione, sia la capacità di comunicare con gli interlocutori da evangelizzare.

In occasione della sosta napoletana, di ritorno a Bisignano dopo l’ultimo soggiorno a Roma, frate Umile richiede ufficialmente al Commissario Generale in Roma, frate Antonio di Galbano, se sussistono le condizioni per recarsi in missione evangelica.

La lettera spedita a Roma, dacché frate Umile è ospite a Napoli, viene letta dapprima dal Nunzio Apostolico, il quale gli favorisce un parere positivo, e cioè che è d’accordo sul fatto che una tale richiesta possa pervenire nelle mani di colui o di coloro che detengono il potere decisionale sulla risoluzione da attuarsi.

In linea con la richiesta inviata al Commissario Generale, frate Umile insieme a frate Francesco da Corigliano si recano a Roma per alloggiare nel Collegio di Sant’Isidoro. I francescani sono accolti dal Guardiano del convento, frate Zenobi da Como. La richiesta per la missione e il progetto dell’evangelizzazione sembrano essere rifiutati per altre ragioni che non siano l’ignoranza della lingua da parte di frate Umile: il suo stato di salute non permette un disegno di tale genere.

In effetti, nei mesi successivi, lo stato di salute di frate Umile, dovuto principalmente alla rigida disciplina francescana sostenuta con coraggio ormai da diversi anni, inizia a peggiorare.

Ed è proprio per le cagionevoli e sempre più gravi condizioni di salute che egli riprende il viaggio verso il meridione e come in altre occasioni sosta a Napoli, nel convento di Santa Croce, per prendere le cure necessarie al suo stato di salute.

Da sosta di breve tempo, il periodo di permanenza a Napoli si prolunga per quasi un biennio fino a che, per volontà di frate Antonio da Galbano, frate Umile e frate Ludovico da Lattarico (anch’egli francescano) vengono chiamati a fare ritorno in Calabria presso il convento di Cosenza.

Soltanto nell’estate del 1632 frate Umile rientra nel suo paese d’origine, Bisignano, non prima di aver fatto scalo, provenendo da Napoli via mare, a Scalea ed aver avuto sincere dimostrazioni di venerazione da parte del popolo calabrese. La scena di Scalea si ripete qualche ora dopo, appena il veliero approda a Paola.

Un altro capitolo della vita di Sant’Umile è il breve periodo di sosta a Cosenza. In questo convento, il Padre guardiano, Bonaventura da San Severino, come d’altra parte tutti i superiori delle comunità religiose dove frate Umile ha dimorato da quando le sue condizioni di salute sono peggiorate, affida a fra’ Antonio da Bisignano il compito di aiutare il frate nelle difficoltà quotidiane.

Una tappa cosentina di frate Umile riguarda anche S. Fili, il convento dove giunge una lettera a firma di frate Giovanni Battista da Campana, il quale consiglia a frate Umile di recarsi di nuovo a Napoli, per la precisione a Pozzuoli, per ricevere migliori cure che forse nel cosentino non riceve.

Ma viaggiare logora. Alla metà del 1635, dopo un ennesimo viaggio a Napoli, frate Umile finalmente ritorna a Bisignano, dove muore il 26 novembre 1637 all’età di 55 anni.

La notizia della sua morte si è sparsa rapidamente e la gente è accorsa al suo capezzale: un incredibile pellegrinaggio di uomini, donne, giovani, anziani, poveri e benestanti, persone che hanno ammirato quel frate buono e prodigioso, da cui almeno una volta hanno ricevuto una parola, un sorriso, un aiuto. Di lui hanno saputo soltanto ciò che avevano visto o sentito dire: la sua umiltà, la sua semplicità, il suo donarsi, il bene profuso, la fede trasparente.

Di frate Umile, quasi alla fine della sua vita, resta la clamorosa profezia fatta a padre Bernardino da Bisignano, che cioè sarebbe diventato procuratore generale della Riforma non prima del 1677, ovvero quarant’anni dopo la morte di Frate Umile. La profezia si è avverata.

I processi canonici sono iniziati con notevole ritardo nel 1684; le sue virtù sono state dichiarate eroiche da Pio VI il 4 ottobre 1780; è stato beatificato da Leone XIII il 29 gennaio 1882 (con Breve del 1° ottobre 1881); è stato canonizzato il 19 maggio 2002 da Giovanni Paolo II.

La proclamazione a Santo della Chiesa universale è un punto d’arrivo, ma anche un punto di partenza. Sant’Umile da Bisignano ha praticato le virtù teologali e morali in modo «eroico» da essere presentato ai fedeli come modello di perfetta vita cristiana e, appunto per questo, merita il culto e la devozione della Chiesa intera.

La storia dunque, la storia della Chiesa e la storia della civiltà religiosa italiana e calabrese in particolare, ospita la meravigliosa esistenza di Sant’Umile. Il mistero della sua vita coincide certamente con il mistero di un Dio che opera grandi cose, un Dio che grazia e miracola, regge e indica il cammino. Perché Dio crede nella sua creatura e la creatura crede in lui.


[1] M. Dionisalvi, Una luce serafica, il B. Umile da Bisignano, MIT, Cosenza, 1982, p. 71.

[2] Il Beato Pietro Cathin da Sant’Andrea di Faenza è inviato da San Francesco d’Assisi in Calabria per diffondere il francescanesimo. A Bisignano, il Beato Pietro fonda uno dei primi conventi francescani tra il 1219 e il 1223.

[3] M. Dionisalvi, Una luce serafica, il B. Umile da Bisignano, cit., p. 9.

[4] Cfr. A. Barone, La solidarietà nella vita del giovane Lucantonio Pirozzo, «La Squilla del Beato Umile», I/2, 1998.

[5] «Visitava gl’infermi di questa città con grandissima carità, amor e zelo dell’anime loro in maniera tale che sempre si offeriva in loro servigio e aiuto, sì spirituale, come corporale». Cfr. P. Giacomo da Bisignano, Vita, morte et miracoli maravigliosi del devotissimo e umilissimo servo di Dio e di Maria Vergine fratUmile da Bisignano, Archivio della Postulazione dei Frati Minori, Roma 2002, p. 18.

[6] M. Dionisalvi, Una luce serafica, il B. Umile da Bisignano, cit., p. 21.

[7] Per una ricostruzione della famiglia di Lucantonio Pirozzo, cfr. L. Falcone, (a cura di), Per una storia della famiglia Pirozzi. Il Beato Umile da Bisignano nei documenti dellArchivio di Stato di Cosenza, I Santi della Chiesa bisignanese, Atti del Convegno, Bisignano 18–19 giugno 1999, Quaderni del Palio, n. 3, Roma 2000.

[8] L. Falcone, Umile da Bisignano, Parallelo 38, Reggio Calabria 2002, p. 126.

[9] Sull’epoca in cui è vissuto frate Umile, cfr. F. Fucile, L’epoca di Frate Umile, in: Itinerari e luoghi di Sant’Umile da Bisignano, coordinato da C. Pitto, Provincia dei Frati Minori Francescani dei Sette Martiri di Calabria (a cura di), Grafica Cosentina, Cosenza, 2006, pp. 9-16. Cfr. anche, A. Barone, Organizzazione del territorio, società e vita materiale a Bisignano alla fine del Cinquecento, pp. 9-11, in: Sant’Umile di Bisignano, la società, la famiglia, la giovinezza, la vocazione, Bacos, Napoli, 2002.

[10] M. Dionisalvi, Una luce serafica, il B. Umile da Bisignano, cit., p. 36.

[11] V. M. Greco, Vita del venerabile Servo di Dio FraUmile da Bisignano, laico Professo dei Frati Minori Osservanti Riformati della Provincia di Calabria Citra, scritta da Vincenzo Maria Greco, Canonico della S. Metropolitana Chiesa di Cosenza, divisa in Libri III, Napoli 1798, II, pp.125-126.

[12] F. Tudda (a cura di) Cenacolo sacerdotale, rivista trimestrale di spiritualità, Anno XII, n. 3, Bisignano 1994, p. 31.

[13] M. Dionisalvi, Una luce serafica, il B. Umile da Bisignano, cit., p. 44.

[14] F. Tudda (a cura di) Cenacolo sacerdotale, cit., p. 35.

[15] Frate Umile amava Duns Scoto, il «sapiente e sottile teologo dell’ordine francescano», anche se al contrario del grande teologo frate Umile non poteva vantarne la medesima scienza. L. Falcone, Umile da Bisignano, cit.,. p. 73.

[16] A Napoli (e a Cosenza), come abbiamo già riferito, l’esamina della dottrina, di fatto inesistente ma in realtà presente in frate Umile come scienza infusa, è molteplice e avviene per il tramite di diverse personalità religiose: Padre Adriano da Napoli, i «lettori dello studio teologico di Cosenza», l’Inquisitore Monsignor Campanile, padre Dionisio da Canosa, Padre Taruggi, ecc. Cfr. M. Dionisalvi, Una luce serafica, il B. Umile da Bisignano, cit., p. 62.

[17] A. M. Liguori, Il Beato Umile da Bisignano, Tipografia Mit, Cosenza, 1981 (ristampa anastatica del 1993), pp. 17-18.

[18] «Quasi sicuramente il Pontefice ha deciso di prendere questa decisione per accertarsi di persona dei fenomeni soprannaturali e dei doni straordinari che contrassegnavano la vita di fra’ Umile e di cui ovunque si era diffusa notizia, fino a suscitare la curiosità e l’interesse della stessa corte pontificia e delle autorità ecclesiastiche romane», in: L. Falcone, Umile da Bisignano, cit., p. 97.

[19] La lettera è conservata nell’Archivio di Postulazione dei Frati Minori di Roma ed è citata in parte in Falcone, Umile da Bisignano.

[20] Cfr. M. Dionisalvi, Una luce serafica, il B. Umile da Bisignano, cit., p. 101.

[21] «Rientrando a Bisignano nel 1632, l’immagine che egli si portava dentro era sì quella di una chiesa sfarzosa ed esuberante […] tuttavia l’evento giubilare si era rivelato come l’occasione privilegiata di riconciliazione tra Dio e il suo popolo». Cfr. L. Falcone, Introduzione, in P. Giacomo da Bisignano, Vita, morte et miracoli maravigliosi del devotissimo e umilissimo servo di Dio e di Maria Vergine fratUmile da Bisignano, cit., p. XIII.

[22] L. Falcone, Ecumenismo e missione del Beato Umile da Bisignano: da una lettera inedita del 1627, «Calabria letteraria», nn. 10/11, XXXII, 1984, p. 100 ss.

 

 

 

Luigi Sanseverino 7° Principe di Bisignano,Figlio di Ferdinando Sanseverino 6° Principe di Bisignano e di Isabella Gesualdo. Nato a Saponera il 25/04/1588 morto il 11/03/1669 a Saponera. Si sposò con Margherita Tagliavia d'Aragona. Governò il Principato dal 1662 al 1669.

 

 

 

 

 

Donna Aurora Sanseverino,Dei Principi di Bisignano, Grandi di Spagna, Duchessa di Laurenzano.* Altomonte 28.04.1667 + Piedimonte 02.07.1726 Padre: Carlo Maria Sanseverino, 9º principe di Bisignano * 15.08.1644 Madre: Maria Fardella e Gaetani * 24.05.1639 Matrimonio I: 09.01.1680 Giangirolamo Acquaviva d' Aragona, 9º duca di Nardò Matrimonio II: 09.03.1686 Nicolò Gaetani dell' Aquila d' Aragona, 1º principe di Piedimonte Figli: Senza discendenza.

 

 

 

 

Giovanni Sanseverino, era il terzogenito figlio di Gio.Antonio e di Enrichetta Carafa. Sposò la cugina Aurelia Sanseverino figlia di Giovanni Tommaso (+1510) e di Isabella di Giacomo.