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Ciclismo sano e pulito? E' possibile lo dice anche la scienza
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Presentati in un convegno a Gaiole i risultati dei test condotti durante il "Giro Bio", la corsa a tappe per dilettanti in cui quest'anno i partecipanti sono stati sottoposti a un monitoraggio antidoping senza precedenti
Che un certo ciclismo non faccia bene alla salute lo si può facilmente immaginare toccando con mano i tanti, troppi guai sanitari che viaggiano a ruota del doping diffuso nelle due ruote a pedali, anche a livelli giovanili. Che, invece il ciclismo fatto secondo le regole della tutela della salute sia un vero e proprio toccasana per il fisico degli atleti erano in pochi a scommetterci. Ma è proprio così e adesso c'è anche la conferma con forti basi scientifiche. Il ciclismo fa bene, se fatto nel modo giusto. Lo dicono i risultati della ricerca e del monitoraggio presentato sabato a Gaiole in Chianti, condotto dallo staff della Commissione medica della Federciclismo con la collaborazione di importanti Università italiane (Siena, Verona, Camerino) sul Gio Bio, il Giro d'Italia dilettanti disputato questa estate che, partito con regole d'ingaggio rivoluzionarie - un attento e pressante monitoraggio dei valori ematochimici e della prestazione sportiva; vita in comune fuori gara sotto l'occhio attento di un nutrito staff medico; stessi alberghi, stessa alimentazione, ecc. - è approdato con pieno successo a conclusioni estremamente interessanti.
Milletrecento chilometri in nove tappe, 13.000 metri di dislivello coperti: una prova dura e impegnativa per 168 atleti divisi in 28 squadre. Seguiti e controllati quasi minuto per minuto, soprattutto per scoprire cosa succede nel fisico umano durante una gara così lunga e impegnativa. E la conclusione più importante è che una disciplina così faticosa e stressante si può fare anche senza ricorrere ad "aiuti" e "aiutini" di sorta per non parlare della famigerata farmacia del diavolo. Con grande dignità, con risultati agonistici più che soddisfacenti e, ciò che non guasta, addirittura con grandi vantaggi per la salute.
Dal monitoraggio di qualcosa come 41 parametri ematochimici e della prestazione (anche la potenza espressa sui pedali, la frequenza cardiaca, la frequenza di pedalata) emerge ad esempio che al termine della gara il colesterolo diminuisce del 10%. Dato non da sottovalutare tenendo conto che si parla di atleti che già normalmente partono da valori bassi. E non esiste un farmaco che in soli 10 giorni possa far ottenere un risultato simile. I famigerati trigliceridi, spauracchio dei sedentari, calando addirittura del 25%.
Calano anche alcuni valori ematici di base, per effetto della fatica. Ematocrito (la parte corpuscolare del sangue; cioè i globuli rossi che trasportano l'ossigeno ai muscoli) e l'emoglobina scendono di un 8% i dieci giorni di gare. Ciò che allunga pesantissime ombre anche su atleti che in passato alla fine di un Giro d'Italia della durata di 3 settimane presentavano valori ematici vicini al 50% e che sono riusciti in qualche modo a gabbare i controlli. I ragazzi del Giro Bio di età prevalentemente attorno ai 20-23 anni, partivano da una media di ematocrito del 45% per arrivare (in qualche caso) anche al 40%. E' il logico e naturale effetto della fatica, che si recupera fisiologicamente senza problemi ma nel tempo, in assenza di "trattamenti" con sostanze che stimolano la produzione dei globuli rossi e producono spesso seri danni alla salute. Oltre che far correre il rischio di incappare in pesanti squalifiche.
Dunque un ciclismo pulito è possibile e la dimostrazione pratica data dagli organizzatori del Giro Bio ha ora il crisma della scienza. Che sostiene l'idea che non sia assolutamente necessario dimostrare con la vittoria, magari ottenuta a tutti costi, spesso in modo non limpido, qualità e attitudini. Il ciclismo per liberarsi dalle sabbie mobili del doping deve imparare ad apprezzare e conoscere gli atleti dalle loro qualità e non sempre e solo dal risultato. Qualità che un monitoraggio attento e approfondito consente comunque di evidenziare. Ci sta lavorando la Federciclismo con un Progetto Giovani che ha portato a monitorare nell'arco di due anni 500 corridori dai 15 ai 17 anni con l'obbiettivo di individuare proprio chi ha talento e chi no. Cioè trovare altri parametri di riferimento al di là del risultato.
Perché spesso le vittorie a quella età non sono frutto di un effettiva predisposizione ma di altri fattori, fra cui la maggiore o minore precocità. E imboccare la strada di uno sport che richiede impegno e dedizione assoluta senza avere le qualità giuste innesca un meccanismo feroce e porta a scivolare facilmente nelle pratiche dopanti. Meglio sapere per tempo, dunque. E la parola magica è una sola: monitoraggio. Una pratica che - se diffusa - porterebbe anche importanti risultati in tema di medicina preventiva.
Ma l'esperienza del Giro Bio dimostra anche altro. E cioè che il ciclismo può essere bello e interessante senza bisogno che i corridori sfreccino a 60 all'ora in una crono o percorrano le salite all'andatura di una moto. Bello e credibile, cioè anche appetibile in un momento in cui i continui scandali doping fanno scappare gli sponsor. Credibile perché controllato. E, quanto più controllato, tanto più garantito.
Al Giro Bio l'impasse più critica si è avuta all'inizio.
Ovvio, veniamo da lustri di diseducazione sportiva e di furbizie più o meno assecondate dall'ambiente e siamo ancora ampiamente in mezzo al guado. In base proprio alla valutazione di certi parametri si è chiesta l'esclusione di alcuni corridori. E le polemiche si sono subito accese. Ma alla fine il messaggio è stato recepito e capito ugualmente, anche se in qualche caso la medicina è stata amara. Su 36 controlli (un terzo sull'urina e 2/3 su sangue e urina, testati il 21 % dei partenti e il 23% degli arrivati) c'è stato un solo caso di positività e 2 soli casi di anomalie non sanzionate. Ma soprattutto in tutto quel baillamme di analisi, prelievi, test, attese e orari da rispettare, non c'è stata un lamentela. E questo è il risultato più grosso. Vuol dire che forse il ciclismo sta capendo alla base che certe regole fanno l'interesse di tutto il movimento, e alla fine a guadagnarci sono anche e sopratutto i singoli.
(20 settembre 2009) fonte: repubblica.it
Che un certo ciclismo non faccia bene alla salute lo si può facilmente immaginare toccando con mano i tanti, troppi guai sanitari che viaggiano a ruota del doping diffuso nelle due ruote a pedali, anche a livelli giovanili. Che, invece il ciclismo fatto secondo le regole della tutela della salute sia un vero e proprio toccasana per il fisico degli atleti erano in pochi a scommetterci. Ma è proprio così e adesso c'è anche la conferma con forti basi scientifiche. Il ciclismo fa bene, se fatto nel modo giusto. Lo dicono i risultati della ricerca e del monitoraggio presentato sabato a Gaiole in Chianti, condotto dallo staff della Commissione medica della Federciclismo con la collaborazione di importanti Università italiane (Siena, Verona, Camerino) sul Gio Bio, il Giro d'Italia dilettanti disputato questa estate che, partito con regole d'ingaggio rivoluzionarie - un attento e pressante monitoraggio dei valori ematochimici e della prestazione sportiva; vita in comune fuori gara sotto l'occhio attento di un nutrito staff medico; stessi alberghi, stessa alimentazione, ecc. - è approdato con pieno successo a conclusioni estremamente interessanti.
Milletrecento chilometri in nove tappe, 13.000 metri di dislivello coperti: una prova dura e impegnativa per 168 atleti divisi in 28 squadre. Seguiti e controllati quasi minuto per minuto, soprattutto per scoprire cosa succede nel fisico umano durante una gara così lunga e impegnativa. E la conclusione più importante è che una disciplina così faticosa e stressante si può fare anche senza ricorrere ad "aiuti" e "aiutini" di sorta per non parlare della famigerata farmacia del diavolo. Con grande dignità, con risultati agonistici più che soddisfacenti e, ciò che non guasta, addirittura con grandi vantaggi per la salute.
Dal monitoraggio di qualcosa come 41 parametri ematochimici e della prestazione (anche la potenza espressa sui pedali, la frequenza cardiaca, la frequenza di pedalata) emerge ad esempio che al termine della gara il colesterolo diminuisce del 10%. Dato non da sottovalutare tenendo conto che si parla di atleti che già normalmente partono da valori bassi. E non esiste un farmaco che in soli 10 giorni possa far ottenere un risultato simile. I famigerati trigliceridi, spauracchio dei sedentari, calando addirittura del 25%.
Calano anche alcuni valori ematici di base, per effetto della fatica. Ematocrito (la parte corpuscolare del sangue; cioè i globuli rossi che trasportano l'ossigeno ai muscoli) e l'emoglobina scendono di un 8% i dieci giorni di gare. Ciò che allunga pesantissime ombre anche su atleti che in passato alla fine di un Giro d'Italia della durata di 3 settimane presentavano valori ematici vicini al 50% e che sono riusciti in qualche modo a gabbare i controlli. I ragazzi del Giro Bio di età prevalentemente attorno ai 20-23 anni, partivano da una media di ematocrito del 45% per arrivare (in qualche caso) anche al 40%. E' il logico e naturale effetto della fatica, che si recupera fisiologicamente senza problemi ma nel tempo, in assenza di "trattamenti" con sostanze che stimolano la produzione dei globuli rossi e producono spesso seri danni alla salute. Oltre che far correre il rischio di incappare in pesanti squalifiche.
Dunque un ciclismo pulito è possibile e la dimostrazione pratica data dagli organizzatori del Giro Bio ha ora il crisma della scienza. Che sostiene l'idea che non sia assolutamente necessario dimostrare con la vittoria, magari ottenuta a tutti costi, spesso in modo non limpido, qualità e attitudini. Il ciclismo per liberarsi dalle sabbie mobili del doping deve imparare ad apprezzare e conoscere gli atleti dalle loro qualità e non sempre e solo dal risultato. Qualità che un monitoraggio attento e approfondito consente comunque di evidenziare. Ci sta lavorando la Federciclismo con un Progetto Giovani che ha portato a monitorare nell'arco di due anni 500 corridori dai 15 ai 17 anni con l'obbiettivo di individuare proprio chi ha talento e chi no. Cioè trovare altri parametri di riferimento al di là del risultato.
Perché spesso le vittorie a quella età non sono frutto di un effettiva predisposizione ma di altri fattori, fra cui la maggiore o minore precocità. E imboccare la strada di uno sport che richiede impegno e dedizione assoluta senza avere le qualità giuste innesca un meccanismo feroce e porta a scivolare facilmente nelle pratiche dopanti. Meglio sapere per tempo, dunque. E la parola magica è una sola: monitoraggio. Una pratica che - se diffusa - porterebbe anche importanti risultati in tema di medicina preventiva.
Ma l'esperienza del Giro Bio dimostra anche altro. E cioè che il ciclismo può essere bello e interessante senza bisogno che i corridori sfreccino a 60 all'ora in una crono o percorrano le salite all'andatura di una moto. Bello e credibile, cioè anche appetibile in un momento in cui i continui scandali doping fanno scappare gli sponsor. Credibile perché controllato. E, quanto più controllato, tanto più garantito.
Al Giro Bio l'impasse più critica si è avuta all'inizio.
Ovvio, veniamo da lustri di diseducazione sportiva e di furbizie più o meno assecondate dall'ambiente e siamo ancora ampiamente in mezzo al guado. In base proprio alla valutazione di certi parametri si è chiesta l'esclusione di alcuni corridori. E le polemiche si sono subito accese. Ma alla fine il messaggio è stato recepito e capito ugualmente, anche se in qualche caso la medicina è stata amara. Su 36 controlli (un terzo sull'urina e 2/3 su sangue e urina, testati il 21 % dei partenti e il 23% degli arrivati) c'è stato un solo caso di positività e 2 soli casi di anomalie non sanzionate. Ma soprattutto in tutto quel baillamme di analisi, prelievi, test, attese e orari da rispettare, non c'è stata un lamentela. E questo è il risultato più grosso. Vuol dire che forse il ciclismo sta capendo alla base che certe regole fanno l'interesse di tutto il movimento, e alla fine a guadagnarci sono anche e sopratutto i singoli.
(20 settembre 2009) fonte: repubblica.it
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